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IL GIOCO DEL “FACCIAMO FINTA”: IL VALORE DEL GIOCO SIMBOLICO

Il Gioco Del “Facciamo Finta” Il Valore Del Gioco Simbolico

IL GIOCO DEL “FACCIAMO FINTA”: IL VALORE DEL GIOCO SIMBOLICO

“Facciamo finta che…” oppure “Facciamo che io sono…” sono tutte frasi sentite dai bambini, da quando compiono 18 mesi fino anche ai dieci anni circa. Il gioco simbolico, dunque, una palestra di vita vera per i bambini, esercizio cognitivo di relazione e socialità, che li porta ad immedesimarsi nei più diversi personaggi, animali, racconti sentiti o letti, nelle persone che vivono accanto a loro, e anche nei loro amichetti più cari.

Le emozioni si vivono a pieno e ci si immerge nel mondo interiore dell’altro, sia esso un cane o altro animale leggendario, un personaggio di fantasia o una persona vivente: principesse, eroine, guerrieri, eroi, pirati o cavalieri, un mondo di fantasia che serve alla crescita personale e allo sviluppo del linguaggio.

Ogni bambino, attraverso il gioco simbolico, struttura la propria personalità, con ogni materiale crea della magia, qualsiasi oggetto si trasforma nel suo personaggio preferito, anche una penna incrociata con un’altra diventa un uccello con delle ali dai poteri più vari.

Proprio a tal proposito, il famoso e noto psicologo e pedagogista Vygotskij afferma:

Nel gioco il pensiero è separato dagli oggetti e l’azione nasce dalle idee più che dalle cose: un pezzo di legno comincia ad essere una bambola e un bastone diventa un cavallo”.

Gioco simbolico è fantasia pura e creatività senza confini e limiti, libertà di esprimere e di capire anche cosa si vuole interpretare. Il bambino e il gioco simbolico sono un racconto che cresce e cambia, una comunicazione all’adulto del proprio mondo e dei propri sentimenti, un mezzo di comprensione di ciò che ancora razionalmente non si ha maturato. Il gioco simbolico è uno scambio di esperienze tra compagni, unione di idee e immaginazioni differenti: pupazzi o semplici oggetti trovati in casa o a scuola che prendono vita e si muovono piacimento, diventano chiunque e qualunque cosa, si pensa e si fa. La mente crea e lavora, si realizza un’azione o un si crea una storia, semplicemente “facendo finta”.

LA RISOLUZIONE DEI PROBLEMI ATTRAVERSO IL GIOCO SIMBOLICO

Se fare finta di essere qualcuno o qualcosa, anche un oggetto, un animale, è importante per quanto descritto sopra, per entrare in sintonia con le proprie emozioni e per conoscere meglio l’altro, non meno rilevante è l’impatto del gioco simbolico nel superare i momenti difficili del bambino o esperienze di vita non comprese a pieno. Ce ne parla benissimo lo psicanalista austriaco Bruno Bettelheim nel suo testo Un Genitore quasi perfetto (Feltrinelli).

Molto spesso, come afferma l’autore, i genitori provano a raccontare al proprio figlio l’evento che dovrà affrontare, una esperienza particolare e di certo non facile, anche traumatica soprattutto per un bimbo piccolo: una visita dal dottore, anche il dentista, insomma luoghi dove spesso il bambino non si reca con piacere.

Si pensa che spiegando, in maniera razionale, il piccolo possa semplicemente acconsentire senza storie o dubbi, rimostranze o paure. Non è così, e per questo il bambino necessita di una vera e propria immersione in quello che potrà essere e prefigurarsi l‘esperienza. Il gioco quindi si presta benissimo a far vivere e provare l’avvenimento nella maniera più consapevole possibile. Agire attraverso il gioco sui suoi peluche, robot, supereroi, bambole o ciò che più preferisce, serve al bambino per immedesimarsi nell’esperienza, essere rassicurato e meno ansioso, percepire e proiettare su se stesso l’evento che ha affrontato o che dovrà affrontare.

Ad esempio:

  • giocare con il pupazzo o un bambolotto al dentista, aprirgli la bocca e far finta di estrarre un dente oppure curare una carie;
  • maneggiare piccoli arnesi proprio come un medico, usare la fantasia e pensare di avere uno stetoscopio: con una cordicella legare un cucchiaio da minestra;
  • far finta di fasciare una gamba ad un personaggio o medicare con dell’ovatta un animaletto di pezza;
  • prendere una penna, o matita ben appuntita e fare finta che alla bambola preferita serva un’iniezione.

 IL GIOCO SIMBOLICO IN OSPEDALE: LA “CURA” DEL BAMBINO

Se un bambino può considerare “traumatica” una visita dal medico di base o una seduta dal dentista, sicuramente di più forte impatto è l’ospedalizzazione, il ricovero e il dover rimanere fermo in un letto. Il gioco in questo caso diventa di vitale importanza, come ci aiutano a capire anche i due autori Francesco Bacone e Dolores Prencipe psicopedagogista esperta, nel loro libro Pedagogia e didattica del gioco.

Il gioco è in ospedale è innanzitutto “La terapia del sorriso” del Dottor Hunter Patch Adams, una terapia fondata esclusivamente sulle risate e la gioia da trasmettere al bambino ricoverato: il sorriso come unica “pillola” senza effetti collaterali negativi, dei momenti di vera e propria rigenerazione e distensione del cuore.

Dunque, ridere e giocare in ospedale, per un bambino, vogliono dire:

  • provare ad elaborare emozione forti, negative a tratti e complicate da districare; le paure sono tante ma con il gioco diventa tutto più leggero;
  • Vuol dire trovare “casa” anche in un luogo così diverso dal contesto familiare; stanze adibite a “sale giochi”, immerse nei colori più vivaci e piene di attività didattiche, creative e stimolanti;
  • Significa confrontarsi con altri bambini nelle medesime condizioni di salute e condividere le stesse sensazioni, momenti di allegria ma anche dei momenti più cupi.

Attraverso il gioco simbolico, anche quello di ruolo, come quello del “dottore” tutto è più semplice, gli strumenti delle infermiere e dei dottori sono utilizzati per facilitare la familiarizzazione del nuovo contesto.

Come affermano i due autori succitati, tubicini delle flebo, anche le siringhe o gli stetoscopi, magicamente prendono forme diverse: bacchette piene di super poteri, pistole ad acqua; tra compagni di stanza, soprattutto se si è costretti a letto, senza potersi recare nelle sale da gioco, ci si diverte a “far finta” di essere un dottore o un infermiere, a turno si interpretano sia i medici che i malati per elaborare al meglio questa esperienza così delicata.

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