COSA SIGNIFICA “ASCOLTO ATTIVO”: UN SANO APPROCCIO AI PROBLEMI DEI BAMBINI
Steve Biddulph, l’autore del libro Il segreto dei bambini felici, terapista famigliare ed esperto nel campo da più di venti anni, per ascolto attivo intende un tipo di capacità che il genitore deve considerare, dunque maturare dentro di sé e sviluppare per cercare di aiutare il proprio figlio nel migliore dei modi possibili. Cercando di sostenerlo, facendogli affrontare e superare le mille difficoltà o problematiche che si incontrano nella vita. Saper ascoltare un bambino vuol dire aprirsi entrando nel suo mondo e rispondendo ai suoi bisogni, essere presenti a sé stessi, di conseguenza pronti a dimostrare forza d’animo, divenendo, come afferma l’autore: “Rifugio sicuro”.
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Il terapista afferma che l’ascolto attivo è un’ottima modalità di approccio ai problemi che insorgono, perché offre del tempo per il confronto, per il dialogo e soprattutto trasmette al bambino vicinanza e fiducia. Il genitore, attraverso l’ascolto attivo, comprende i sentimenti del bambino, si confronta e si dimostra coinvolto in quello che sta vivendo. Importante e basilare, sottolinea Biddulph, è lasciare anche la possibilità al proprio figlio di rimediare al problema, traendo soddisfazione, senza troppe intromissioni, prendendo atto che le piccole frustrazioni sono certamente dolorose, ma altrettanto centrali e indispensabili per una sana crescita psicoemotiva. Può accadere che l’intervento più “intrusivo” di un genitore, magari in difesa, riguardo un accadimento più grave, sia richiesto e doveroso, ma molto spesso, come scrive l’autore, la sola capacità di un ascolto vivo e attivo, in linea e in sintonia con il mondo interiore del bambino, è in assoluto ciò che più occorre, quanto di più necessario, veramente utile e risolutivo per la problematica in atto.
ASCOLTARE VUOL DIRE ANCHE SAPER OSSERVARE E RIUSCIRE AD ESSERE EMPATICI
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Steve B. continua a parlare di “ascolto attivo”, nel libro succitato, ponendo l’attenzione sulla pratica di questa modalità o metodo educativo, spiegando come viene divulgata in Australia durante i corsi per “genitori efficaci”, avendo come riferimento il libro del dottor Thomas Gordon, psicologo statunitense, Genitori efficaci: educare figli responsabili.
Se Biddulph ci parla di “ascolto attivo”, Becky A. Bailey, psicologa dello sviluppo e educazione della prima infanzia, nel suo volume Facili da amare, difficili da educare, introduce un argomento altrettanto centrale e necessario da comprendere per riuscire ad aiutare un bambino in difficoltà: l’emotività e l’empatia come utili strumenti, dei pilastri per una educazione finalizzata a costruire una salda personalità.
L’autrice parla di “allenamento emotivo”, ovvero cominciare ad osservare il proprio figlio con molta attenzione, quando si percepisce un turbamento, una situazione disagevole che lo mette in ansia; “fare da specchio” è il consiglio che la psicologa evidenzia, cioè entrare in empatia, ovvero:
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- Osservare il bambino, cercando di “tradurre” ciò che sta provando: analizzare, “rispecchiando” le sue emozioni, significa fargli sentire la vicinanza, descrivere cosa si sta osservando in lui, fungendo appunto da “specchio”.
- Dunque, comprendere ciò che anima il suo cuore, accogliendo tutte le sensazioni e le percezioni, di qualunque natura esse siano.
- In ultimo, stimolare e incoraggiare, evitando giudizi che possano far chiudere in se stesso il bambino non lasciando spazio allo scambio verbale.
QUALI I COMPORTAMENTI DA EVITARE
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Se l’empatia svolge un ruolo fondamentale nel sano rapporto con i propri figli, soprattutto quando hanno bisogno di un saldo sostegno morale, è altrettanto giusto evidenziare che per empatizzare, come afferma Becky A. Bailey, è estremamente necessario, se non basilare, saper accettare e conoscere a fondo la propria emotività. Esprimendo le proprie emozioni, dando quindi l’esempio, sarà anche più facile che il bambino si senta più sereno e tranquillo nel confidare quanto gli sta accadendo, nel bene e nel male.
La psicologa succitata elenca, inoltre, cosa si dovrebbe assolutamente evitare per non creare una distanza emotiva che si trasformi in un deterrente alla comunicazione. Vediamo quali sono i tre atteggiamenti meno opportuni, quelli che convogliano tutto nella “repressione” piuttosto che nell’espressione dell’emotività:
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- Punire quanto il bambino sta provando: alcuni genitori, non tollerando le emozioni negative del bambino, possono rispondere con altrettanta negatività e rabbia, reprimendo ancora di più le sue sensazioni, senza riuscire dunque a comprendere l’effettivo motivo del suo disagio.
- Similmente, sortisce lo stesso effetto, la medesima conseguenza, ignorare le emozioni del bambino, far finta che nulla ci sia di diverso, sperando che tutto passi, senza nessun intervento.
- L’ultimo atteggiamento errato è quello di lasciare che il bambino trovi un diversivo, si tenta quindi di distrarre e portare l’attenzione altrove, sminuendo i sentimenti e le emozioni che sono in ballo; l’autrice descrive questo approccio come una sorta di blocco, che tiene fuori e lontane le sensazioni che si provano, ottenendo solo repressione e nessuna risoluzione.
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a cura di Roberta Favorito
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